Due incontri con i presidenti

Ieri si sono svolti due incontri con i cinque presidenti presenti al forum. Lula non ha partecipato all’incontro dei capi di governo con i movimenti contadini per paura delle contestazioni, ma era presente al comizio serale con Chavez, Morales, Correa e Lugo.

Certo non capita tutti i giorni di vedere dei presidenti eletti confrontarsi in maniera orizzontale con i movimenti e cantare con fervore e allegria canzoni che inneggiano apertamente alla rivoluzione. Eppure è quanto successo nell’incontro di quattro presidenti latinoamericani con una delegazione dei movimenti del Forum Sociale Mondiale. «El pueblo unido jamas serà vencido», cantavano come giovani attivisti Fernando Lugo, presidente del Paraguay, Raffael Correa, presidente dell’Ecuador, Hugo Chavez, presidente del Venezuela ed Evo Morales, presidente della Bolivia. Un prete, un economista, un soldato ed un «indio» come simpaticamente ricordava Chavez nel suo intervento, sono oggi la rappresentazione istituzionale di una sinistra latinoamericana che si riconosce, almeno in parte, nel progetto e nella prospettiva tracciata in questi anni dal Forum Sociale Mondiale. Uno spettacolo unico di allegria e trasporto popolare impensabile dalle nostre parti, dove i politici fanno invece a gara per scaricare e dimettere qualsiasi atteggiamento possa essere ricondotto ad atteggiamenti «radicali». E invece pare proprio che una sinistra nazional popolare dal pensiero forte qui sia non solo possibile ma addirittura maggioritaria.

Nonostante la passione è stato un confronto vero quello con i quattro presidenti. Accanto a loro i rappresentanti della Cta – Central de trabajadores dell’Argentina, di Via Campesina, dell’Alleanza Continentale Sociale, di Jubileo Sur e delle organizzazioni di donne, che non si sono limitati nei loro interventi a elogiare il lavoro dei quattro. I temi affrontati sono stati diversi, dagli accordi commerciali, al debito ecologico, dalla sovranità alimentare alla necessità di spingere ulteriormente sul sentiero di una integrazione latinoamericana marcatamente anticapitalista basata sulle necessità immediate di tutti coloro che sono ancora esclusi e vivono in condizioni di grave emarginazione. Pedro Stédile, a nome di Via Campesina, che ha chiuso dopo l’intervento dei presidenti, ricordava infatti che il socialismo del XXI secolo di cui parlava precedentemente Chavez deve offrire risposte immediate e che ancora molto c’è da fare e che le sfide sono tutt’altro che vinte, anche se certamente siamo sulla strada giusta. È la prima volta che quattro presidenti decidono di venire nel luogo definito l’Assemblea dell’Umanità e di rendere omaggio ai movimenti sociali.

«Questa è un cambio di epoca, più che un epoca di cambio», sosteneva Correa nel suo intervento. «Il consenso di Washington è finito. Nessuno poteva pensare dieci anni fa che ciò sarebbe avvenuto e questo lo si devo sicuramente alla spinta propulsiva ed alle lotte dei movimenti sociali. Il neoliberismo rappresenta la morte, mentre il Fsm la vita. Noi vogliamo costruire un altro mondo insieme a voi, a partire da un’azione collettiva che metta al centro la giustizia sociale ed il buen vivir, i diritti della foresta amazzonica ed un nuovo paradigma di relazione con il nord del mondo, che dovrà riconoscere l’enorme debito ecologico contratto con noi in questi secoli», ha detto il presidente ecuadoriano. Così come Fernando Lugo ricordava i momenti in cui negli anni passati partecipava al forum come semplice iscritto, viaggiando in pulman sino a Porto Alegre o a Caracas.

«Siete voi la speranza ed il cambiamento reale. Voi ci avete dato la possibilità di essere qui e senza le vostre lotte noi non saremmo niente. La nostra anima non avrà pace sino a quando non avremo giustizia sociale per tutti». Il presidente paraguyano ha poi fatto un affondo al suo collega brasiliano Lula, chiedendogli apertamente di rivedere gli accordi capestro sullo sfruttamento delle risorse energetiche del suo paese, visto che un’integrazione vera passa solo per il rispetto mutuo ed ha poi chiuso ricordando il massacro dei palestinesi a Gaza, appellandosi al diritto internazionale.

Ma è stato Evo Morales, fresco vincitore del referendum che ha approvato la nuova Costituzione boliviana che rifonda il paese, a ricevere l’abbraccio simbolico più grande. «Qui ci sono i miei professori, i movimenti. Io non voglio essere da voi invitato. Io voglio essere convocato perché io rispondo a voi e mi dovete convocare anche per dirmi gli errori che faccio». Continuando, Morales ha non solo ricordato le vittorie del suo governo nell’ambito dell’affermazione di nuovi diritti ma ha anche parlato delle sfide che lo attendono: «Abbiamo delle grandi responsabilità, verso la vita, verso la giustizia e verso la nostra Madre Terra. Il cambio deve partire da noi. Siamo noi che dobbiamo continuare a cambiare ed io vi chiedo di continuare a guidarmi. Come dice il subcomandante Marcos, noi dobbiamo governare obbedendo al popolo». È stata poi la volta di Chavez che ha nel suo intervento ricordato più volte l’importanza della rivoluzione cubana anche nel processo culturale del Fsm.

«Noi quattro siamo tutti figli di un tipo che si chiama Fidel Castro a cui va tutto il nostro amore e gratitudine per aver resistito da solo per cinquanta anni contro l’impero più pericoloso della storia. Oggi sono le vostre lotte che ci hanno portato qui e come dice Fidel, il testimone è passato a voi. Lui mi ha detto che siete voi che dovete guidare il mondo e cambiarlo». Chavez ha poi chiuso sugli Stati Uniti ricordando che bisognerebbe processare Bush alla Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini contro l’umanità ed ha poi lanciato un segnale ad Obama, dicendogli che il Venezuela è disposto a dialogare però a partire dal rispetto reciproco che il suo popolo ed il continente meritano dopo un secolo di soprusi. «Ojalà Obama voglia cambiare, anche se ho forti dubbi al riguardo, visto che parliamo comunque della nazione che ha pensato, prodotto ed esportato con le bombe questo modello di morte chiamato neoliberismo che oggi esce sconfitto dalla storia e da tutti noi che insieme lottiamo per un altro mondo che non solo è possibile ma necessario. Questo mondo sta nascendo già qui da noi e, come un bimbo, fa i suoi primi passi, anche incerti, ma li fa. Questo continente come ricordava Bolivar è da sempre quello della Utopia ed oggi noi la vediamo crescere tra noi». Ha così concluso al fianco di Aleida Guevara, figlia del Che, il presidente venezuelano visibilmente emozianato.

La sfida è dunque la crisi del capitalismo e la forza che il popolo riuscirà ad accumulare per vincerla, e non i discorsi e le parole, ha infine ricordato Stédile, di Via Campesina, sostenendo come sia importantissimo il confronto continuo con questi quattro presidenti vicino ai movimenti. Movimenti che devono continuare ad essere autonomi ed a fare il loro cammino per il bene di tutti, proprio come ricordavano gli stessi presidenti. Alla fine tutti insieme abbiamo cantato la famosa canzone del poeta cubano Carlos Puebla dedicata a Ernesto Guevara: Hasta siempre. A farlo non c’erano nostalgici, né marginali della società, ma i principali movimenti e le forze vive del pianeta, insieme a quattro capi di stato venuti proprio nel luogo simbolo delle lotte sociali. Qualcosa di davvero inimmaginabile è successo e continua a succedere in America Latina.

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