Foto: Gastão Guedes/Ciranda
Dopo la giornata dedicata interamente ai popoli e alle problematiche amazzoniche, il terzo, quarto e quinto giorno del World Social Forum 2009 sono riservati alle oltre 2.300 attività autogestite promosse da organizzazioni, sindacati, movimenti, forze politiche e gruppi religiosi.
Panel, conferenze, laboratori, iniziative culturali occupano dalla mattina di ieri i tendoni spuntati come funghi nei campus delle due università che ospitano il Forum. Moltissimi i temi oggetto di discussione, innumerevoli i punti di vista, le esperienze condivise e le prospettive all’orizzonte.
Nella giornata di ieri uno dei temi ricorrenti è stato la giustizia ambientale: la necessità cioè di elaborare politiche di compensazione e mitigazione di fronte agli impatti – sofferti principalmente sulle popolazioni dei paesi del sud – prodotti dall’emergenza ambientale che colpisce il pianeta.
Paradossalmente insomma sono proprio i paesi con i più bassi livelli di emissioni nocive e di contaminazione quelli che più risentono dello stravolgimento del clima.
Secondo l’ultimo report diffuso dalle Nazioni Unite, a livello globale ci sono ormai più sfollati e rifugiati per cause climatiche che a causa delle guerre. Mentre il Bangladesh e le isole del sud del pacifico rischiano di scomparire, i ghiacciai andini e himalayani diminuiscono anno per anno, l’Africa e l’Australia [come il sud Italia] registrano periodi di siccità sempre più lunghi e si moltiplicano cicloni, uragani ed inondazioni nelle aree tropico-equatoriali, i governi continuano a pianificare l’adozione di misure insufficienti e palliative sottovalutando una emergenza che diviene via via meno riparabile.
Cambiamenti climatici che rivelano la fragilità e l’inadeguatezza del sistema economico attuale, basato su sfruttamento incontrollato delle risorse, utilizzo di combustibili fossili [principalmente petrolio e carbone] – tra le principali cause dell’effetto serra – e modelli di consumo smodati da parte dei paesi occidentali, le cui politiche sono dominate da multinazionali, industrie automobilistiche, imprese petrolifere, compagnie minerarie e, da ultimo, dai colossi dell’industria alimentare e dell’agro business.
Nonostante vivano nella maggior parte dei casi secondo regole e modelli economici tradizionali e ben lontani da quelli occidentali i popoli del sud del mondo hanno subito negli ultimi anni conseguenze devastanti a causa degli impatti dei cambiamenti climatici. Ciò si spiega in base al fatto che le forme di sussistenze tradizionali, basate da generazioni sulla relazione con la terra, l’acqua, le conoscenze ancestrali, sono divenute sempre più vulnerabili di fronte all’incontrollabile impatto del clima.
Di fronte a questo paradosso e all’ingiustizia sociale ed economica prodotta da questo paradigma, organizzazioni ambientaliste e movimenti sociali hanno deciso di lanciare una campagne globale per ristabilire giustizia, quella giustizia climatica appunto difficilmente quantificabile in termini economici ma che significa sopravvivenza per migliaia di persone.
Le proposte emerse durante le attività di oggi si articolano su vari temi: modello energetico [implementazione di politiche energetiche sostenibili, incentivi all’efficienza energetica e allo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili non convenzionali] sviluppo urbano [politiche sostenibili sui trasporti e su produzione e gestione dei rifiuti, riforestazione] politica internazionale [campagne di lobby per garantire ai paesi del sud giusta compensazione e mitigazione per l’adattamento climatico].
Inadeguate anzi nocive la misure sin qui adottate, come l’istituzione del mercato delle emissioni e soprattutto il massiccio ricorso agli agro combustibili [attraverso l’impianto di piantagioni agricole industriali] che hanno dimostrato di essere ecologicamente e socialmente insostenibili.
Strategie e nuove alleanze da mettere in atto attraverso convergenze più ampie possibili, in vista dell’appuntamento del dicembre prossimo a Copenaghen, dove le misure da adottare per far fronte ai cambiamenti climatici saranno nuovamente al centro dell’attenzione mondiale.