Grandi opere in Amazzonia

Ieri è stata la giornata panamazzonica, interamente dedicata a tutto ciò che riguarda la foresta e i popoli che la vivono. E’ la prima volta che durante un Forum Sociale Mondiale si decide di organizzare un’intera giornata su un solo tema. Una novità significativa basata sull’esigenza urgente di mettere al centro dell’agenda mondiale dei movimenti la questione amazzonica, per evitare di affrontarla solo con le lenti dell’ambientalismo e cercare di declinare un ragionamento che possa unire la sostenibilità ambientale a quella sociale e, soprattutto, restituire la parola ai popoli che abitano l’Amazzonia e la difendono.

Giornata dunque dedicata al punto di vista degli oltre 500 popoli nativi che della grande foresta. Molte le assemblee, le iniziative culturali ed i laboratori.
Tra le questioni di maggior interesse e di maggiore preoccupazione per tutti c’è sicuramente quella legata all’Iirsa – Iniciativa para la Integración de la Infraestructura Regional Suramericana. Un progetto che consiste nella creazione di enormi infrastrutture, dalle reti fluviali ai porti, passando per immensi megaprogetti idorelettrici e di sfruttamento minerario e petrolifero. Miliardi di dollari investiti e garantiti da banche e da diversi governi latinoamericani che rischiano di regalare enormi profitti per le multinazionali e di distruggere l’ecosistema più importante della terra. Le organizzazioni indigene hanno promosso denunce e analisi sull’Iirsa, argomento tra l’altro al centro della loro agenda e delle loro lotte ormai da anni, anche nei confronti di quei governi considerati vicini ai movimenti, ma evidentemente non abbastanza.

Dell’Iirsa, nonostante i governi non lascino trapelare granche’, si discute da anni ed enormi sono gli interessi legati. Durante la giornata dedicata alla questione, la Coica, l’organizzazione che raggruppa i popoli indigeni dei nove paesi sudamericani che condividono la foresta amazzonica, ha lanciato un’allarme fortissimo e un appello internazionale. Il presidente Egberto Tabo durante il suo intervento ha ricordato come i popoli amazzonici hanno protetto per millenni la foresta e senza le loro resistenze il polmone della Terra sarebbe già stato distrutto da molto tempo e l’umanità sarebbe spacciata. «Per questo ieri abbiamo deciso di presentarci apertamente al mondo sfilando in una marcia dei colori di tutta la Terra. Abbiamo voluto dare un messaggio al mondo. La foresta è viva e noi siamo i suoi guardiani e la difendiamo. Troppo spesso il mondo ha pensato che la foresta fosse disabitata ma invece siamo piu’ di 500 i popoli indigeni che la vivono, la abitano e la difendono».

Questione dunque non di poco conto la minaccia che viene dall’Iirsa che rischia di aggravare ulteriormente il già fragile equilibro amazzonico e di aggiungersi ai grandi problemi di disboscamento e sfruttamento selvaggio. Ancora una volta ci troviamo difronte la contraddizione dello sviluppo e del progresso, nel cui nome vengono sacrificati diritti di interi popoli e di intere generazioni future.

«Tutto il mondo grida per i cambiamenti climatici e si preoccupa e poi che fanno? Distruggono l’Amazzonia che e’ l’unica speranza che abbiamo. Ci sembra davvero una contraddizione. Tutto il mondo grida per i problemi legati all’inquinamento ed alla distruzione della biodiversità e poi che fanno? Lasciano distruggere la foresta che possiede la più alta biodiversità del pianeta e che rappresenta l’unico freno all’inquinamento. A noi sembra una contraddizione», ha detto Egberto. E del resto come dargli torto e come spiegare l’assurdità dei governanti che si strappano le vesti [alcuni anche nei passati forum sociali mondiali] davanti alla catastrofe ambientale e poi non fanno nulla di concreto per affrontarla.

Anche in questo senso il messaggio lanciato dai popoli indigeni è molto chiaro: quando dicono di non essere contro il progresso o lo sviluppo ma di non capirlo quando questo si traduce nella loro morte o nella distruzione della foresta. Non solo quindi danni ambientali ma soprattutto sociali e culturali. Egberto dice che faranno una mappa dell’Amazzonia con tutti i popoli indigeni e che misureranno lo sviluppo a partire dal livello di qualità della vita e di benessere in cui si trovano e che tradurranno in quasi 500 lingue gli impatti che l’Iirsa potrebbe avere se venisse applicato. Durissime quindi le critiche ai governi interessati, colpevoli anch’essi di piegarsi alle logiche poste dalle imprese o ai vincoli delle banche.

Unica distinzione viene fatta per il governo di Evo Morales, forse l’unico in grado di capire l’importanza di questa battaglia e di come ad essa siano legate le speranze di sopravvivenza del pianeta. «E’ una sfida enorme quella che ci attende per contrastare l’Iirsa ma siamo convinti che se stabiliamo una grande alleanza tra movimenti e società civile del nord e del sud del mondo ce la possiamo fare. Del resto nel nostro continente gli unici passi avanti sono stati fatti proprio grazie ai movimenti. Adesso dobbiamo farlo per il pianeta intero», conclude Egberto.

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