Indigeni in movimento

Luis Evelis Andrade Casama è presidente del Fondo indigeno latinoamericano ed è portavoce del movimento indigeno colombiano. In Italia è stato invitato dal Coordinamento italiano per il Fsm ed il Fse per promuovere il prossimo forum sociale mondiale che si svolgerà a Belem, in Amazzonia, dal 27 gennaio al primo febbraio.

Quali sono le novità di questo forum rispetto al passato?

Le novità consistono in tre aspetti fondamentali. Innanzitutto la scelta della sede del forum, l’Amazzonia, luogo di grande importanza per la sostenibilità ambientale globale e per la sua biodiversità, nel quale sopravvivono culture e popoli che l’hanno tutelata in questi millenni per il bene di tutta l’umanità e oggi sono minacciati dall’estinzione a causa dello sviluppo indiscriminato e degli interessi voraci delle multinazionali, che guardano a questa regione della Terra semplicemente come a una risorsa da sfruttare. In questo senso noi popoli nativi siamo semplicemente un ostacolo ai loro interessi e l’assenza di regole precise sul piano internazionale fa sì che l’Amazzonia in questo momento sia il luogo cruciale del conflitto tra chi vuole lo “sviluppo” a tutti i costi, inclusi la distruzione di interi popoli e dell’ecosistema più importante del Pianeta, e chi dall’altro lato immagina un mondo che metta al centro i diritti e la sostenibilità invece che la crescita economica. Il secondo elemento di novità del Forum è proprio il ruolo giocato dai popoli indigeni, ormai parte integrante del movimento globale come soggetto politico capace di proposte rispetto ai grandi cambiamenti sociali e politici non solo nella regione latinoamericana ma nel mondo intero, specie per ciò che riguarda le questioni legate all’ambiente e allo sviluppo. Infine, il terzo aspetto di novità è proprio riferito al concetto di “sviluppo”, inteso come crescita economica, che noi riteniamo essere la principale causa della crisi globale che stiamo vivendo.


Quali sono le sfide principali che i movimenti lanceranno a Belem?

Credo che si tratterà soprattutto di rispondere in maniera concreta alle sfide sociali e politiche poste dalla crisi economica, finanziaria e ambientale mondiale. Insisto, i movimenti sociali devono parlare molto chiaro sullo “sviluppo” come causa della debacle planetaria e proporre cose concrete per questo altro mondo possibile. Credo che nonostante le differenze culturali, geografiche e persino ideologiche, sarà opportuno stabilire un consenso e un’agenda d’azione basata sulla necessità di difendere i beni comuni e lottare contro la loro privatizzazione, sull’importanza delle lotte contro la precarizzazione del lavoro e sull’impegno dei movimenti contro la guerra in qualsiasi parte del mondo.

Da ormai 15 anni i movimenti denunciano le storture del modello capitalista sul piano economico, sociale e ambientale, anticipandone le conseguenze nefaste per il pianeta e i suoi abitanti. Oggi viviamo una crisi gigantesca provocata proprio dal modello e dalle ricette del capitalismo. Il premio Nobel per l’economia Stiglitz l’ha paragonata all’impatto che ha avuto sul comunismo sovietico la caduta del muro di Berlino. Quale può essere il ruolo dei movimenti e del prossimo Fsm per rispondere alla crisi globale?

Se i movimenti sociali rispondono alle sfide di cui parlavamo in precedenza attraverso una loro agenda comune di lotte e proposte, possono giocare un ruolo determinante ed essere protagonisti nel produrre l’accelerazione necessaria per arrivare a quei cambiamenti sociali, economici e politici che l’umanità richiede. Questo forum mondiale deve parlare molto chiaro e proporre cammini realizzabili che si traducano coerentemente in azioni e dibattiti permanenti in tutto il mondo su questi temi. È arrivato il momento di assumere con maggiore responsabilità la costruzione dell’altro mondo possibile come ha fatto per esempio la Bolivia, incorporando nella sua nuova Costituzione il riconoscimento dello Stato Plurinazionale, generando nuove relazioni economiche per superare la povertà, l’ingiustizia e la discriminazione. Voglio dire: dove i movimenti sociali possono generare o essere portatori di cambiamenti anche attraverso l’accesso al potere devono prendere decisioni radicali, devono dimostrare che le “utopie” sono realizzabili e che quello che per molti è impossibile, come l’idea di liberarsi da questo modello di sviluppo, per noi diventa possibile in questo momento e qui. Ed è altrettanto importante che i movimenti sappiano che questo compito che ci attende non è per niente facile.

I movimenti indigeni hanno accumulato in questi ultimi venti anni straordinarie vittorie, frutto di grandi lotte e di incredibili mobilitazioni. Le nuove costituzioni di Ecuador e Bolivia, le campagne e mobilitazioni dei movimenti in tutto il mondo per la difesa dei beni comuni, l’impegno per contrastare i cambiamenti climatici e i disastri ambientali, la necessità di andare oltre il concetto stesso di “sviluppo”, sono alcuni dei temi che avete portato nelle analisi dei movimenti “altermondialisti”. Quale sarà il contributo del movimento indigeno a Belem?

I popoli indigeni hanno sviluppato diverse forme di resistenza, dallo scontro diretto alla scelta di scomparire in silenzio nella selva. Dalla seconda metà del secolo scorso gli indigeni di Abya Yala, come chiamavano noi prima della conquista il continente americano, e anche i popoli nativi di altri luoghi del mondo, hanno cominciato a organizzarsi per rivendicare i loro diritti all’interno della sfera dello stato nazionale e dell’ordine internazionale dato, con un costo immenso di vite. Oggi le nostre lotte sono sia di carattere nazionale che globale. Riscaldamento globale, sovranità alimentare, buen vivir invece che “sviluppo”, Stato Plurinazionale, difesa della Madre Terra, repressione e criminalizzazione dei movimenti sociali, economia comunitaria, sono alcuni dei temi che condivideremo con tutti gli altri movimenti a Belem. Proporremo anche un’altra idea di integrazione tra popoli e paesi basata sulla reciprocità, invece che sugli interessi commerciali delle grandi multinazionali o sugli interessi strategici dei paesi cosiddetti sviluppati a discapito di quelli più poveri. Un’altra cosa importante sarà ricordare che le mobilitazioni sociali hanno sicuramente bisogno di un apporto teorico e dell’analisi, però fondamentalmente si fanno con la praxis. Al foro vogliamo portare il messaggio che i popoli indigeni non vogliono essere il “folklore” della democrazia. Siamo soggetti politici che hanno già dimostrato di essere capaci di realizzare cambiamenti reali e profondi nella società, ispirati dalla nostra spiritualità ancestrale al servizio dell’umanità. In coerenza con la critica, i nostri saranno contributi e non ricette, le soluzioni si costruiscono tutti insieme.

Tu sei anche portavoce, o meglio “consejero mayor” dell’autorità indigena e del governo indigeno della Colombia. In che modo il Fsm può aiutare a rafforzare l’opposizione colombiana?

La Colombia vive un conflitto sociale molto grave che genera continuamente nuova esclusione, accompagnato da un confitto armato da più di 50 anni. In questo contesto si sviluppano le lotte dei movimenti sociali contro la politica regressiva, fatta di uno sviluppo che genera crescita da un lato e maggior povertà dall’altro, violando i diritti umani di decine di milioni di colombiani che sono la stragrande maggioranza della popolazione. Noi continuiamo a proporre innanzitutto una soluzione politica e non militare al conflitto armato, che parta proprio dai diritti, dalla giustizia sociale, dalla difesa della natura e dalla pace. Questo significa scontrarsi ogni giorno con la repressione del governo Uribe che ci accusa di essere terroristi per delegittimare la giustezza delle nostre rivendicazioni come movimenti sociali, con conseguenze catastrofiche sul piano dei diritti umani, delle sparizioni forzate, delle esecuzioni extragiudiziali, dell’assassinio incessante dei nostri leader sociali. Il Fsm deve dare un contributo per dare visibilità e comprendere la problematica colombiana, che ha cause sociali e politiche che vanno molto più in la dell’esistenza dei gruppi insorgenti e dei cartelli del narcotraffico. La Colombia, come la Palestina, l’Iraq e l’Afghanistan, è un paese in guerra. È per questo che sono convinto che proprio il Fsm sia il luogo più adatto per spiegare le verità e gli interessi che si celano dietro queste guerre.

di Giuseppe De Marzo – A Sud

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