Africa, il continente invisibile

Foto: Make Poverty History

La verità è che per ogni dollaro andato in riduzione del debito, i paesi africani ne hanno perso uno nel campo degli aiuti, il cui aumento è stato subordinato alle politiche liberistiche e alle privatizzazioni. Questa illusione ha di fatto rimosso le nazioni povere dagli schermi radar.

Giornalmente siamo inondati dalle notizie concernenti la miriade di questioni sull’Iraq e l’Iran, ma sul quadro radar è assente il dramma della popolazione africana, che soffre degli effetti della guerra, della povertà e delle malattie da oltre cento anni, la gran parte dei quali si possono ricondurre alle politiche imperialistiche del Nord. La risposta alle crisi in Africa ha preso corpo solo di fronte, per esempio, all’immagine di un bambino etiope sul punto di morire per denutrizione, che ha suscitato la generosità e la compassione del pubblico.

Anche i concerti del Live8, organizzati da Bob Geldof per stimolare la consapevolezza e spingere le nazioni del G8 ad impegnarsi a fornire maggiori aiuti e per la riduzione del debito, sono stati controproducenti per la causa della giustizia sociale. Infatti Geldof e Bono hanno legittimato il piano del G8 per la riduzione del debito e della povertà e hanno rassicurato le persone sull’esistenza, finalmente, di una luce alla fine del tunnel. La verità è che per ogni dollaro andato in riduzione del debito, i paesi africani ne hanno perso uno nel campo degli aiuti, il cui aumento è stato subordinato alle politiche liberistiche e alle privatizzazioni. Questa illusione ha di fatto rimosso le nazioni povere dagli schermi radar.

Per esempio, attualmente, una catastrofe di dimensioni enormi minaccia l’Africa orientale, dove oltre sei milioni di persone sono a rischio di morire di fame in Etiopia, Somalia, Kenya e a Gibuti. Il World Food Program riferisce che l’assistenza del resto del mondo è tristemente carente, e dei 314 milioni di dollari che sono necessari per alleviare la crisi 225 mancano ancora.

Una delle cose che maggiormente mancano nella copertura informatica dei media istituzionali è la mancanza di contesto o l’analisi approfondita. L’Organizzazione per lo sviluppo industriale delle Nazioni unite (Unido) ha affermato nel 2004 che “l’Africa sub-sahariana è l’unica regione in cui è cresciuto il numero delle persone che vivono nella povertà più abietta negli ultimi venti anni”. Secondo un altro rapporto dell’Onu del 19 dicembre 2005, “la disoccupazione media è rimasta attorno al 10% dal 1995, il secondo più alto al mondo dopo il Medio oriente. La conseguenza più visibile di questo elevato tasso di disoccupazione è la povertà crescente. Sono almeno 61 milioni in più gli africani che soffrono la fame dal 1990”.

Sfortunatamente, le statistiche sulla povertà e sulla disoccupazione sono troppo generali per cogliere appieno la reale drammaticità degli effetti della povertà. Nel 2001, per esempio, nell’Africa sub-sahariana il 46,4% della popolazione viveva con meno di un dollaro al giorno, rispetto al solo 3,6% della popolazione dell’Europa e dell’Asia centrale. In maniera simile, il 76,6% nell’Africa sub-sahariana viveva con meno di 2 dollari al giorno, rispetto al 19,7% di Europa e Asia centrale.

Una delle spaventose tragedie prodotte dalla povertà nell’Africa sub-sahariana sono i 175 bambini ogni mille che non hanno raggiunto l’età di cinque anni rispetto alla media di 6 bambini dei paesi industrializzati nel 2003. Contribuisce alla cifra sulla mortalità infantile il fatto che solo il 57% delle persone che vivono nella regione hanno accesso ad acqua potabile.

Inoltre, la povertà riduce fortemente la capacità dei bambini dell’Africa sub-sahariana di proteggersi da malattie quali il morbillo a causa della carenza alimentare, in particolare di vitamina A, e di vaccini. L’Organizzazione mondiale della sanità riferisce che nel 2006 tra i 216 mila ed i 279 mila bambini sono morti per il morbillo, che si sarebbe potuto prevenire con un vaccino oppure dimezzato con supplementi di vitamina A. La malaria è un altro dei maggiori fattori di morte nella regione, dove almeno 900 mila persone muoiono ogni anni, di cui un 70% sono bambini. Il “Rapporto sulla malaria in Africa” denuncia come “l’Africa sub-sahariana si trovi di fronte ad una continua devastazione malarica a meno di un’azione decisa. La malaria […] è il maggior fattore individuale di morte tra i bambini di meno di 5 anni e una minaccia grave per le donne in gravidanza e i loro nati”.

Approssimatamente 30 milioni di persone in Africa sono sieropositive e la malattia conseguente, l’Aids, ha ucciso almeno 15 milioni di persone. Benché la pressione pubblica abbia costretto le case farmaceutiche a ridurre il prezzo dei medicinali che rallentano la malattia, solo 50 mila africani vi hanno avuto accesso.

Un’altra malattia sono le guerre civili in molte nazioni africane. La Repubblica democratica del Congo ha sofferto del maggior disastro umanitario dalla seconda guerra mondiale per effetto della guerra civile che ha coinvolto altre otto tra nazioni africane e potenze straniere. Oltre tre milioni di persone sono morti e molti altri sono stati trasferiti, eppure pochi sono consapevoli di questa tragedia in corso. Il conflitto nella regione del Darfur del Sudan occidentale da solo ha fatto duecentomila vittime e ha prodotto oltre un milione di rifugiati. L’Uganda, l’Angola, la Sierra Leone, la Liberia, il Ruanda e la Nigeria hanno anch’esse conosciuto la guerra civile negli ultimi dodici anni.

L’oltraggiosa ironia di questo disinteresse dei media è la complicità delle nazioni imperialistiche nelle crisi per via dello sfruttamento delle risorse naturali, come il petrolio, l’oro e il coltano e quello della manodopera a basso costo, come la schiavitù in Congo. Per garantire il successo dello sfruttamento, paesi come gli Stati Uniti ed il Belgio hanno fatto ricorso alla loro schiacciante superiorità militare, al controllo di forze interne ed al sostegno agli insorti per assicurarsi la terra su cui si trovano il risorse o per costringere gli abitanti recalcitranti a lavorare come schiavi.

www.zmag.org/italy, 24 maggio 2006

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