Riflessioni sull’adattamento al cambiamento climatico

arton6711.jpgIl cambiamento climatico non è più un pericolo teoretico; è un fenomeno tangibile che sta avvenendo su scala mondiale. Forse la più grande tragedia sta nel fatto che esso colpisce per primi e innanzitutto i popoli più vulnerabili, coloro che hanno fatto meno per causare il cambiamento climatico.

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Ma tutto questo lo avete già sentito. Quello che potreste ancora non aver sentito è un profilo emergente di un’angolatura diversa del cambiamento climatico: ladattamento. Sforzi per combattere il cambiamento climatico sono stati in maniera predominante concentrati sul mitigare il fenomeno riducendo o sequestrando le emissioni di gas serra. Scienziati e ricercatori mettono in guardia che le azioni mondiali e le correnti promesse solenni di ridurre le emissioni sono decisamente inadeguate per evitate il riscaldamento su scala catastrofica, ma la dura realtà per cui tutti noi dovremo fare dei cambiamenti per adattarci al cambiamento climatico si sta insediando nel quotidiano.

Fino a poco tempo fa, parlare di adattamento al cambiamento climatico era considerato come un atteggiamento disfattista, una distrazione pericolosa dal mitigare un pianeta in surriscaldamento nella presunzione che possiamo semplicemente adattarci. Quest’attitudine ha portato alla sfortunata situazione in cui l’adattamento è stato sia poco studiato come fenomeno che mal compreso.

Facciamo un po’ di chiarezza. Che cos’è esattamente l’adattamento? Il concetto di adattamento deriva dalla biologia, ma non dovrebbe essere confuso con sciocchezze legate al darwinismo sociale. Lo scopo dello studio sull’adattamento è quello di ridurre la vulnerabilità dei sistemi e delle persone all’interno di essi, ed è oggi strettamente intrecciato con lo sviluppo sociale ed economico.

Quando sento parlare persone che sono vagamente familiari con la questione dell’adattamento, li sento di solito discorrere su cose come le dighe marittime, i giardini galleggianti e gli orti verticali. Mentre queste soluzioni tampone sono tecnicamente considerate adattamento, esse mal rappresentano la maggior parte del lavoro che sta avvenendo sul piano dell’adattamento.

Nel dicembre 2008 la Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico (UNFCCC) ha lanciato il primo maggiore sforzo coordinato di adattamento, chiamato Piani Nazionali di Azione per l’ Adattamento (NAPA), inteso a supportare i paesi meno sviluppati nel affrontare i bisogni urgenti e immediati di adattamento.

Questi sessanta progetti hanno visto un’implementazione triste e senza speranza, conseguenza dovuta largamente al buco nero che l’accesso ai finanziamenti climatici rappresenta, però forniscono una panoramica interna nelle priorità dei paesi più poveri in termini di adattamento. I progetti variano dal miglioramento nella conservazione e distribuzione del grano nei periodi di siccità al ripristino della vegetazione di mangrovie quale zona cuscinetto contro le tempeste tropicali.

È facile considerare solo l’immagine drammatica dell’innalzamento dei livelli marini nelle aree a bassa altitudine, ma questo non fa giustizia alla pervasività del cambiamento climatico, e suscita l’impressione che l’adattamento non sia una questione poi così urgente. L’adattamento è un approccio integrato allo sviluppo che considera i rischi futuri che una comunità dovrà affrontare, e li affronta assicurandosi che queste comunità siano abbastanza preparate e resistenti da superare la tempesta, per così dire.

C’è un’altra questione centrale che riguarda l’adattamento climatico, e questa consiste nel meditare su come arriveremo ad affrontare la perdita e i danno causati dal cambiamento ambientale globale. La Convenzione sul Cambiamento Climatico sta attualmente sottoponendo la questione ad un programma di lavoro per capire meglio il problema, e i paesi in via di sviluppo stanno spingendo con determinatezza per creare un meccanismo istituzionale che li aiuterà ad affrontare questo imminente problema.

La questione della perdita e del danno tocca il cuore di alcune ingiustizie nel cambiamento climatico. Costringe tutti noi a porci domande: chi dovrebbe pagare per la perdita e il danno, coloro che hanno creato il problema o coloro che stanno per il medesimo soffrendo? Le perdite economiche per il cambiamento climatico costeranno miliardi e per il momento queste perdite sono addossate solo su alcuni paesi individuali, senza il supporto o la compensazione degli inquinatori. Gli Stati Uniti e altre ricche nazioni sono intrepidi nel creare degli schemi assicurativi che permetteranno loro di guadagnare ancora più soldi dal cambiamento climatico (considera i mercati del carbonio, o carbon markets), mentre paesi come la Bolivia e Timor-Leste stanno incitando le Nazioni Unite affinché queste considerino le perdite non-economiche, tra le quali i siti patrimonio dell’umanità, così come il danno economico, per esempio, all’agricoltura e all’industria.

A seconda della resistenza delle comunità, le persone si adatteranno al cambiamento climatico in una varietà di modi differenti , quando saranno costrette a farlo. Per questo è importante sostenere ladattamento per tempo e non come una soluzione temporanea presa all’ultimo minuto.

Costruire delle comunità forti e robuste che siano informate e preparate per le sfide che dovranno affrontare è l’unico modo per evitare catastrofi quando le sfide proposte dal cambiamento climatico avanzeranno. Come è diventato ben evidente nel caso degli uragani Katrina e Sandy, una gestione negligente e non adeguatamente finanziata del disastro porta a tragedie su scala del tutto non necessaria.

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