Che cosa fare quando c’è poca speranza

Che cosa fai quando capisci finalmente quale sia la verità, la terribile portata di una questione sulla quale eri stato ottimista per tanti anni? C’è differenza tra leggere una parola e comprenderla. Comprendere una parola terribile è quel momento quando lo stomaco scende con un tonfo sordo e pesante e la verità ti colpisce e ti inghiotte nel tuo intero.

I cambiamenti climatici non sono uno scherzo. Se prima del 2020 le emissioni globali non subiranno un’inaspettata impennata, abbiamo meno del 40% di possibilità di raggiungere l’obiettivo di un riscaldamento di 2 gradi centigradi così tanto reclamizzato dai media. E bisogna ricordare come l’aumento della temperatura di due gradi centigradi sia già oltre quella misura di 1.5 gradi centigradi o meno che gli scienziati pongono come limite massimo di riscaldamento consentito per preservare un mondo vivibile per i più. Quando la posta in gioco è così alta, una possibilità pari al 40% è una prospettiva nel migliore dei casi cupa. Inoltre, qualsiasi cosa verrà decisa per fermare le emissioni- anche se magicamente tutto si fermasse e le emissioni scendessero a zero- avremmo lo stesso bloccato nell’ecosistema un certo ammontare di danni irreversibili.
Sembra una battaglia che l’umanità potrebbe perdere. Che cosa può fare uno studente- o veramente qualsiasi persona che abbia a cuore il problema (o meglio la propria qualità di vita e forse la propria sopravvivenza)- quando si renderà conto della gravità della situazione? La risposta: prepari del tè, scrivi un post sul tuo blog, e ricordi la morale della favola che hai appena letto e capito.

La morale della favola è così semplice e tuttavia resta persa nella palude dei negoziati ONU: il risultato ideale per la questione climatica è un sistema fondato su norme che dia priorità al miglioramento delle condizioni per le popolazioni povere del mondo e per le generazioni future (delle quali le popolazioni povere saranno ancora quelle che più soffriranno).

Anche se stiamo raggiungendo la scadenza posta dagli scienziati, mentre nel frattempo i leader mondiali non hanno ancora rotto l’impasse dell’apatia politica, c’è sempre questo denominatore comune per cui possiamo combattere. Nella cornice di tempo che l’umanità ha ancora a disposizione, ci deve essere equità adesso e nel futuro. Questa è una questione morale, una questione di principi e valori. Io opero sotto la luce flebile di una piccola candela che illumina il potenziale dell’umanità di unirsi attorno ad una qualche nozione di giustizia. Senza questa nozione unificatrice siamo semplicemente granelli di polvere disperati, effimeri nella biosfera e insignificanti l’uno per l’altro. Ma questa mi sembra un’immagine non plausibile- la storia intrecciata dell’umanità racconta troppe storie su una vena che scorre profonda di qualcosa di più significativo. E credo che stiamo assistendo allo svelamento di questa vena nella mia generazione e in quelle successive.

Sembra che lottare per la moralità in un mondo depravato come quello del sistema multilaterale sia sciocco; comunque, vorrei porre la domanda opposta: per che cos’altro si può lottare?

E questo è il motivo per cui sono qui appostata assieme ad altre due giovani ragazze sudamericane in questo arido pezzetto di mondo. Una presenza non convenzionale, inconveniente in mezzo ai leader del mondo, siamo qui per ricordare loro della loro umanità sotterrata e dell’imperativo inevitabile della giustizia.

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